Marco Mamone Capria


Animalismo, vivisezione, elezioni




Introduzione

In campagna elettorale i politici cercano di sembrare buoni. Li si può capire, anche se c'è chi deve proprio sforzarsi per dare questa impressione.

Uno dei sistemi più collaudati è di mostrare una (eventualmente fino ad allora inedita) sensibilità verso gli animali domestici (preferibilmente i cani). Molte persone infatti utilizzano la buona disposizione verso gli animali domestici come indizio di un atteggiamento compassionevole e premuroso verso il prossimo: e che cosa mai dovremmo desiderare da qualcuno che aspira a rappresentarci in parlamento e a disegnare in vari modi il nostro futuro se non, appunto, tale caratteristica? Soprattutto dopo che il cosiddetto “governo dei tecnici” ha abituato gli italiani a un cinismo e a una spietatezza (eccone un esempio) che i precedenti “governi di politici” perlomeno cercavano di mascherare.

Ora, non nego che nella suddetta intuizione psicologica ci sia un elemento di validità, ma questo elemento non è del tutto ovvio. In effetti spesso capita di vedere persone anche molto affezionate ai propri animali domestici le quali, però, non solo non sono generalmente compassionevoli verso il prossimo, ma non mostrano una grande tenerezza per nessun altro animale che non sia il proprio. Il contrasto tra l'affetto per il proprio cane o gatto e l'indifferenza o anche crudeltà verso il prossimo umano (per non dire degli altri animali) è stato notato da secoli, e ha trovato famose rappresentazioni artistico-letterarie: dall'episodio della «vergine cuccia» nel Giorno di Parini (1765), al Monsieur Verdoux (1947) di Chaplin. Inoltre, tutti quelli che si interessano del problema di restituire dignità agli animali si trovano prima o poi a vedersi rinfacciare il caso di Adolf Hitler, a cui piaceva la compagnia di certi cani, ma che era tutt'altro che “animalista” anche nel senso più blando del termine (e sicuramente non era un vegetariano).

Del resto non bisogna andare tanto indietro con gli anni. Un personaggio che con ogni probabilità passerà alla storia come uno dei massimi criminali internazionali del 21mo secolo, l'ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush (2001-2009), si è fatto riprendere ripetutamente in atteggiamenti amorevoli verso il suo cane, a tal punto che quando questo è morto, alcuni giorni fa, tale fatto ha ricevuto da parte della stampa mondiale un'attenzione di gran lunga superiore, per esempio, alla morte per annegamento di oltre 10.000 immigrati che hanno cercato negli ultimi anni di attraversare il canale di Sicilia in uno dei tanti barconi “della speranza”, come li si chiama, o piuttosto “della disperazione”, come si dovrebbe chiamarli.




Ma anche il godere della compagnia di un cane, per quanto non significhi granché in termini genuinamente “animalisti” (anche molti cacciatori sono affezionati al proprio cane da caccia, almeno finché svolge bene il suo compito), non è una caratteristica così comune. Quindi, proprio per il vantaggio di immagine procurato dal mostrarsi teneri verso un animale, coloro i quali intendono strumentalizzare le emozioni del loro pubblico (attori, presentatori televisivi), o dell'elettorato (candidati politici), arrivano ben presto a capire che, in mancanza di un vero interesse personale alla compagnia degli animali, la sua simulazione può servire almeno altrettanto bene. Stiamo quindi assistendo in queste settimane a graziose scenette come quelle dei principali esponenti della destra ritratti in compagnia di cani di cui, peraltro, non si sa se fossero tanto contenti di trovarsi in quelle mani.









Destra e sinistra

Oggi è di moda negare che tra destra e sinistra ci siano differenze importanti, il che sarebbe purtroppo vero se si definisse la “destra” e la “sinistra” in termini dei partiti effettivamente presenti nell'arco parlamentare: in Italia e in altri paesi è infatti l'intero spettro politico che si è contratto e spostato verso destra durante gli ultimi vent'anni. Ma basarsi sull'assortimento delle compagini parlamentari è chiaramente erroneo.

A caratterizzare la destra, nella sua concezione della giustizia sociale, è l'idea che la diseguaglianza economica, per quanto grande, è nella natura delle cose, è giusta, e che quindi le sole politiche di protezione sociale giustificabili sono quelle sufficienti a trattenere la massa dei socialmente svantaggiati dal sollevarsi contro i privilegiati: sono cioè misure antisommossa, più che di soccorso dei bisognosi o di attuazione di diritti di cittadinanza.

Se le sommosse non si verificano o non raggiungono una certa intensità ed estensione, un governo di destra non si preoccupa più di tanto di categorie in difficoltà come gli sfrattati, i licenziati, i disoccupati, i malati, le madri lavoratrici, i carcerati, i disabili, i padri separati, gli anziani non autosufficienti, gli immigrati, le popolazioni di paesi in cui si trasferiscono settori produttivi di nostre imprese (contando sul basso livello di tutela del lavoro), o dove si esportano impunemente i nostri rifiuti tossici (contando sul basso livello di tutela della salute), e così via. Anzi, che la maggioranza della popolazione sia assediata da preoccupazioni sul proprio futuro a breve termine è funzionale al mantenimento delle redini del potere nelle mani di una minoranza, perché tende a restringere la visione politica e a diminuire il senso di solidarietà degli oppressi.

Questo spiega come mai in Italia, dove il 10% delle famiglie italiane possiede il 44,5% della ricchezza netta complessiva mentre il 50% meno ricco ne possiede appena il 9,8%, non esiste ancora un reddito di cittadinanza. Ma intanto i soldi per le missioni militari e per l'acquisto (ad esempio) di costosissimi aerei da guerra si trovano. A questo proposito vorrei consigliare a chi abbia dubbi sul voto da dare o non dare, o a chi, di guardare la puntata di Presa Diretta (RAI3) del 3 febbraio scorso, a cura di Riccardo Iacona, intitolata appunto “Spese militari: penso che gli chiarirà le idee più di quasi tutto ciò che potrebbe trovare nelle pagine politiche dei principali giornali, per non dire di quelle trasmissioni che usano il dibattito, o piuttosto la sua finzione, per disinformare.

Ovviamente i politici di destra quasi mai dichiarano il loro disinteresse nei riguardi della generalità dei cittadini e in particolare degli “ultimi”, ma esso è inscritto nelle loro leggi di spesa, e in una scala di priorità in cui la capacità di ingerenza militare e la tutela dei patrimoni finanziari e bancari figurano di gran lunga prima di istruzione, cultura, sanità, sicurezza edilizia e stradale, ambiente e paesaggio. Proprio per questo, i governi di destra (quali che siano le sigle dietro le quali si nascondono) cercano di scoraggiare la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche, e uno dei modi in cui lo fanno è attraverso una comunicazione opaca, reticente e autorinnegante – autorinnegante nel senso che le dichiarazioni dei suoi esponenti sono mandate come in avanscoperta per vedere che effetto abbiano sul pubblico: se l'effetto è cattivo, non ci si fa scrupolo di negare di averle mai fatte, anche se sono certificate irrefutabilmente da registrazioni radiotelevisive. In una vera democrazia un politico avrebbe serie difficoltà a risollevarsi dall'aver dichiarato pubblicamente il falso, senza dare una convincente e altrettanto pubblica giustificazione dell'incidente; nelle attuali pseudodemocrazie l'affermare il falso, anche nella forma della negazione sfacciata di aver detto ciò che si è detto, è per un politico una prova di forza con cui conferma la degradazione di fatto dei cittadini a sudditi.

In questa prospettiva si capisce subito quanto sinceramente a un partito di destra possa interessare la tutela degli animali o l'espansione dei loro diritti. Per una questione di elementare coerenza, l'attenzione verso gli animali in quanto esseri senzienti è incompatibile, sia da un punto di vista logico che psicologico, con il disprezzo verso le necessità di base e la dignità dei nostri simili. Invece l'attenzione verso i propri animali è come l'attenzione verso i propri familiari, è cioè perfettamente compatibile con l'indifferenza o la crudeltà diretta o indiretta nei riguardi di animali e persone altrui (si pensi all'importanza del familismo nelle mafie di ogni tipo).

Questo è particolarmente evidente, a livello internazionale, nei rapporti tra paesi “sviluppati” e paesi “in via di sviluppo”, nonostante l'ipocrisia di rito nelle dichiarazioni ufficiali. Come ha detto Jean Ziegler,

mentre l'Europa parla di giustizia mondiale e di sviluppo, gli 87 paesi dell'Acp [Africa-Caraibi-Pacifico, sostanzialmente le ex colonie europee] vengono tenuti in una condizione di inaccettabile inferiorità. Pensate che sono stati costretti ad accettare accordi di investimento che li obbligano a mettere sullo stesso piano le imprese locali e le multinazionali occidentali.

Ciò premesso, sarebbe da ingenui pensare che il voto alle elezioni 1) garantisca che gli eletti si comporteranno coerentemente con i loro programmi, 2) esaurisca i compiti del cittadino dal punto di vista politico. No, la vigilanza dei cittadini sull'operato dei nostri rappresentanti in parlamento è essenziale, e a tale scopo è necessario che ci sia trasparenza e dialogo costanti tra parlamento e società civile. Beppe Grillo, nel presentare il Movimento 5 Stelle (M5S), ha dichiarato nella sua “Lettera agli italiani:

Io non chiedo il tuo voto, non mi interessa il tuo voto senza la tua partecipazione alla cosa pubblica, il tuo coinvolgimento diretto, se il tuo voto per il M5S è una semplice delega a qualcuno che decida al tuo posto, non votarci.

Personalmente considero questa dichiarazione in favore della democrazia partecipativa (precisata per esempio qui e del resto coerente con la storia del M5S) come di gran lunga la cosa “più di sinistra” che sia stata detta in Italia da decenni in una campagna elettorale (si confronti anche la recente intervista di Grillo alla televisione svedese).

Per riconoscere a Grillo questa fondamentale, positiva differenza non c'è bisogno di condividere tutto quello che dice o pensare che abbia già detto tutto ciò che conta. Per esempio a me piacerebbe che parlasse dei sistemi Wi-Fi meno acriticamente, e ricordasse quanto illustrato sui rischi di questa tecnologia da una puntata di Report ; che sottolineasse l'importanza di rapporti di scambio solidali e del consumo equo, compresi cellulari, smartphone e computer, ecc. Ma niente impedisce al M5S di far proprie queste tematiche, come è accaduto per tante altre affini.

Vivisezione e politica

Accade spesso di sentir parlare della sperimentazione animale come se fosse una questione politicamente neutra, tale cioè da poter unire persone delle più diverse tendenze politiche. È un errore. Per rendercisi conto del carattere altamente politico della questione basta pensare a due aspetti.

Innanzitutto, la decisione di utilizzare milioni di esseri senzienti ogni anno (solo in Italia sono circa 900.000; in tutto il mondo una stima è di circa 115 milioni) come strumenti per la ricerca biomedica non può non avere conseguenze (sia in linea di principio che come dato storico) su come trattiamo i nostri simili. Questo è stato sempre sottolineato dagli antivivisezionisti, e l'importante libro di Patterson Eternal Treblinka – Our Treatment of Animals and the Holocaust, New York, Lantern Books (2002), tradotto anche in italiano, sarebbe sufficiente a convincere anche i più scettici del fondamentale nesso (logico e psicologico) tra come trattiamo gli animali e come trattiamo i nostri simili. E che sia così nei fatti è chiaro se si pensa che, in base a statistiche ufficiali, in tutto il mondo «una persona su 6 non ha accesso all'acqua potabile» e «ogni 2 secondi un bambino muore a causa delle pessime condizioni sanitarie».

L'altro aspetto della questione è che la vivisezione ha dato una pessima prova di sé in campo medico-sanitario, non solo dal punto di vista dell'affidabilità delle conclusioni tratte sulla sua base, ma addirittura anche dal punto di vista euristico (o più precisamente delle scoperte, con valore applicativo, che se ne sono ricavate).

Sono consapevole del fatto che presunti esperti della questione (che, si badi bene, è una questione storica ed epistemologica, non biomedica in senso stretto: un punto che sfugge spesso a sostenitori di entrambe le opinioni) affermano il contrario, cioè sostengono che senza “modelli animali” la medicina non saprebbe più come progredire. Si può dire che ogni giorno che passa ci vuole una faccia ancora più tosta per sostenere qualcosa del genere (nella prossima sezione ne vedremo una prova decisiva), ma la faccia tosta non manca certo ai disinformatori: che siano disinformatori per autodifesa o per mestiere.

Che ci siano disinformatori per mestiere è qualcosa che è già stato oggetto di libri molto ben documentati, come J. Stauber e S. Rampton, Toxic Sludge is Good For You: Lies, Damn Lies and the Public Relations Industry, Monroe(Maine), Common Courage Press (1995), e M. Walker, Dirty Medicine: The Handbook, Londra, Slingshot (2011). (Di Walker rinvio anche al libro, liberamente scaricabile, Cultural Dwarfs and Junk Journalism, del 2008). L'esistenza di una fiorente e ben sovvenzionata industria della propaganda il cui scopo è impedire la revisione delle menzogne su cui si fondano i profitti di varie attività produttive e professionali, o la permanenza al potere di partiti e intere classi dirigenti, va considerato un fatto acquisito. In particolare chi nel valutare l'informazione in campo medico o alimentare lo ignora, si squalifica per ciò stesso come interlocutore razionale.

Quanto ai disinformatori per autodifesa, la resistenza di chi ha costruito la propria carriera e la propria reputazione (oltre che, spesso, considerevoli interessi venali) su una certa metodica (non si tratta solo dei vivisettori, ma di tutto l'indotto della vivisezione) non stupisce nessun osservatore dotato di un minimo di esperienza del mondo e di conoscenza storica. A tale proposito ricordo, come ho già fatto altre volte, che oltre due millenni di confutazioni sostanzialmente definitive dell'astrologia non sono riusciti a determinare l'estinzione della professione astrologica, come il lettore può facilmente verificare aprendo parecchi settimanali a larga diffusione. Ma per lo meno nessuno oggi viene assunto a un concorso pubblico solo se è di un certo segno zodiacale. Non siamo così fortunati nel caso della vivisezione.

Per citare un caso esemplare di resistenza a provvedimenti assolutamente giusti, utili e scientificamente fondati in campo sanitario, ricordo che la prima legge che in Italia abbia vietato il fumo nei luoghi pubblici è entrata in vigore nel 2005. Appena otto anni fa. Per apprezzare il significato di questa data, basta considerare che fin dal 1939 si poteva considerare dimostrato clinicamente ed epidemiologicamente che il fumo di sigaretta, compreso quello passivo, è cancerogeno (oltre ad avere numerosi altri effetti negativi sulla salute), e non a caso fin dal 1941 il regime nazista in Germania aveva emanato una legge antifumo. Ce ne sarebbe abbastanza per fare un “processo di Norimberga” con imputati gli scienziati dei paesi “democratici” che hanno alimentato per decenni dubbi fasulli sulla base di esperimenti su animali (vedi qui, pp. 20-2) e i politici che li hanno presi sul serio. La storica sentenza di condanna della Commissione Grandi Rischi al tribunale dell'Aquila nell'ottobre 2012 ha dimostrato che questa strada è percorribile. La levata di scudi internazionale che l'ha accolta è prova del fatto che una buona parte della corporazione scientifica pretende per sé uno statuto speciale, cioè, in sostanza, l'impunità anche per catastrofici errori di valutazione o di comunicazione. Ma è precisamente la difesa della dignità della scienza che ci impedisce di prendere sul serio questa pretesa.

Ciò mostra una terza ragione per cui la vivisezione pone una questione politica significativa: gli errori che generano prosperità economica in classi di persone influenti non spariscono per il semplice fatto che siano stati dimostrati tali. Perché si verifichi un cambiamento, la loro confutazione deve essere accompagnata da misure legislative e finanziarie che scoraggino il perseverare nell'errore da parte di chi ne trae profitto.



Uno studio recentissimo e importante

Anche se ritengo che le prove contro la vivisezione siano ormai da parecchi anni più che sufficienti a convincere qualsiasi persona razionale e in buona fede, anche non animalista e non vegetariana, che si debba stabilire per legge come minimo una moratoria sulla sperimentazione animale, non voglio perdere l'occasione per informare dell'uscita, pochi giorni fa e su una prestigiosa rivista ufficiale, di un articolo che sarà probabilmente descritto dagli storici della scienza come una pietra tombale sulle pretese scientifiche della vivisezione. L'articolo è:

Seoka J., Shaw Warren H., Cuenca A. G. et al., “Genomic responses in mouse models poorly mimic human inflammatory diseases”, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 11 febbraio 2013, doi: 10.1073/pnas.1222878110,

ed è liberamente accessibile e scaricabile da qui.




Spero che la grande stampa ne approfitti per abbandonare per una volta la tradizionale omertà nei riguardi dei danni causati dalla vivisezione alla scienza e alla sanità. Il New York Times l'ha già fatto, staremo a vedere che cosa succederà in Italia. La traduzione italiana del titolo, che enuncia la tesi principale, è: “Le risposte genomiche nei modelli murini sono una imitazione scadente delle malattie infiammatorie umane” – che è poi parte di quello che un vero esperto di tossicogenomica e farmacogenomica, Claude Reiss, va dicendo da molti anni.

L'articolo è il bilancio di una vasta e prestigiosa collaborazione internazionale intesa a verificare a livello genetico quanto gli esperimenti sui topi permettano di trarre conclusioni affidabili sugli umani nel caso di alcune tra le più gravi e spesso letali malattie: quelle infiammatorie, in particolare sepsi, traumi e ustioni. La ragione per studiare sistematicamente questo aspetto della relazione uomo-topo è semplice, ma scommetto che non ne avrete mai letto nulla sui giornali e meno che mai sentito parlarne in televisione: erano state eseguite quasi 150 prove cliniche di altrettanti farmaci antinfiammatori risultati efficaci sui topi, con grandissimo impiego di mezzi economici (miliardi di dollari), di personale, e di uomini-cavia. Ebbene, nemmeno uno di questi farmaci aveva funzionato. Un fallimento totale.

Adesso abbiamo, grazie al suddetto articolo, un argomento in più per spiegarlo. In breve, mentre diversi tipi di infiammazione attivano nell'uomo gli stessi meccanismi di espressione genica (la stessa risposta genomica), non c'è correlazione né tra le risposte genomiche per ognuno di quei tipi nel topo e la risposta genomica umana, né tra le risposte genomiche per i vari tipi nel topo. In altre parole, fenomeni infiammatori apparentemente simili nel topo e nell'uomo, non hanno alcuna rassomiglianza reale quanto ai meccanismi che li attivano. Il che significa, in particolare, che è irragionevole aspettarsi che un farmaco che funziona sui topi possa mai funzionare sull'uomo – come del resto le 150 prove cliniche fallite avevano già messo irrefutabilmente in evidenza. Uno degli scienziati intervistati dal New York Times ha così commentato:

Quando ho letto l'articolo, sono rimasto sbalordito per quanto cattivi erano i dati relativi ai topi […] È veramente stupefacente – non c'è alcuna correlazione. Sono dati così persuasivi e così robusti che penso che le agenzie di finanziamento dovrebbero prenderne nota”. [Finora] “per essere finanziati, dovevate proporre esperimenti che usavano il modello murino”.

Per la verità, ci sarebbe piuttosto da meravigliarsi di questa meraviglia, ma meglio tardi che mai. Inoltre, dato che si suppone che la reazione infiammatoria sia alla base anche di malattie cardiache e immunitarie, nonché del cancro, l'inferenza più naturale da questo studio è che il modello murino, pietra angolare della ricerca biomedica vivisezionista attuale, è una minaccia generalizzata per il progresso medico (del resto si tratta di un'inferenza che per il cancro era già sostanzialmente acquisita: vedi qui, pp. 3-6).

Il servizio del New York Times è particolarmente istruttivo, perché illustra bene il carattere autoreferenziale del dogma vivisezionista, che è poi ciò che ne ha reso e tuttora ne rende così difficile la rimozione, L'articolo in questione è stato respinto, nonostante la sua importanza (o forse proprio per questo!), da Science e Nature, e ha dovuto aspettare «più di un anno» per trovare una rivista che lo pubblicasse, in quanto (spiega uno dei principali autori, Ronald W. Davis) i revisori delle riviste

erano così abituati a fare studi sui topi che pensavano che questo è il modo in cui si convalidano le cose. […] Sono così impostati a tentare di curare i topi che dimenticano che noi stiamo tentando di curare esseri umani. […] La risposta più comune [all'articolo] era: “Dev'essere sbagliato. Non so perché è sbagliato, ma dev'essere sbagliato” [Corsivo mio]

Ciò conferma ancora una volta quanto i critici della vivisezione vanno dicendo da anni, e cioè che i metodi di indagine biomedica fondati sulla sperimentazione animale non sono mai stati convalidati, ma soltanto postulati veri, e tuttavia sono stati eletti dalle agenzie regolatorie, irresponsabilmente, a canone aureo per ogni altro metodo che sia loro sottoposto. È proprio come se una nuova ipotesi psicologica fosse ufficialmente adottata o rifiutata sulla base di quanto le sue conclusioni collimino con quelle astrologiche...

Continuare a sperperare tempo, denaro e vite umane su questo filone fallimentare di ricerca è semplicemente criminale, e in mancanza di una rapida resipiscenza dei responsabili (cosa purtroppo improbabile: il caso dell'astrologia insegna) i cittadini dovrebbero chiedere l'intervento dell'autorità legislativa e giudiziaria per reprimere la sua reiterazione da parte di quelli che Hans Ruesch, di cui proprio quest'anno cade il centenario della nascita, chiamava giustamente i «falsari della scienza». Continuare a finanziare progetti di sperimentazione animale spacciandoli per ricerca medico-sanitario è non solo partecipare a una frode scientifica, ma violare quel principio di precauzione che è alla base della legislazione dell'Unione Europea in campo medico-sanitario. L'attitudine alla violazione delle leggi, a tutti i livelli, da parte della lobby vivisezionista è del resto abbondantemente provata dalla sistematica violazione nelle università della legge 413/1993 sull'obiezione di coscienza alla vivisezione – violazione che la Fondazione Hans Ruesch ha documentato in dettaglio in un rapporto del 2012.

I partiti italiani e la vivisezione alla vigilia delle elezioni

Il mensile Le Scienze ha pubblicato sul suo sito un sondaggio tra alcuni “leader” di partito, su scienza e ricerca; l'ultima delle 10 domande riguarda la vivisezione:

Qual è la sua posizione in merito all'uso di animali nella ricerca biomedica? Pensa sia corretto limitare l'uso di alcune specie animali a scopo di ricerca?

Ecco le risposte di Bersani, Ingroia e Giannino, che riunisco per comodità del lettore estraendole integralmente dalle tre diverse pagine web dove sono pubblicate, e che faccio seguire ognuna dai miei commenti.

La risposta di Pierluigi Bersani

Chi è contrario all'uso degli animali in laboratorio va rispettato, ma, al contempo, credo che i test sugli animali siano indispensabili. Almeno fino a che non saranno individuati metodi alternativi scientificamente accettabili. Nel 2010, l'Unione Europea ha approvato una direttiva sulla protezione degli animali utilizzati per studi scientifici. Una legge contestata e rigettata da chi vorrebbe addirittura vietare nel nostro Paese l'allevamento di animali destinati alle sperimentazioni.

A mio parere, chi vuole vietare la sperimentazione nel nostro Paese non tiene conto di un elemento essenziale. Nessun organismo internazionale autorizzerebbe mai l'uso clinico, sull'uomo, di un farmaco che non sia stato precedentemente sperimentato su due specie animali. In secondo luogo, il periodo difficilissimo che stiamo vivendo dal punto di vista economico non può essere affrontato dando una chance in più alle imprese farmaceutiche per delocalizzare: si calcola che, se gli allevamenti e i centri di ricerca chiuderanno, oltre 10mila ricercatori perderanno il posto e probabilmente saranno costretti ad andare all'estero.

Il ricatto a proposito dei posti di lavoro (un “classico” con una lunga storia di disastri sanitari e ambientali alle spalle: Porto Marghera, Casale Monferrato, Bagnoli, Taranto, Gela ecc.) non stupisce in chi, da Ministro dell'Industria del governo Prodi nel 2007, aveva invocato provvedimenti disciplinari verso gli ordini dei medici-chirurghi dell'Emilia Romagna, la cui federazione aveva commesso il gravissimo errore di... prendere posizione contro gli inceneritori. Tale episodio è utile anche per capire in quale considerazione Bersani possa tenere la salute dei cittadini quando si tratti di valutare «metodi alternativi scientificamente accettabili» (come se la vivisezione lo fosse...). Insomma, se il segretario del PD voleva certificare ufficialmente l'inabilità del suo partito a rappresentare gli interessi dell'elettorato di centro-sinistra, non poteva fare di meglio che rilasciare la citata dichiarazione.

La risposta di Antonio Ingroia

Credo sia eticamente giusto, e anche utile, limitare l'uso degli animali in sede di ricerca biomedica. Dovrebbe essere la comunità scientifica, consultando le associazioni di settore, a individuare i migliori criteri per ricerche e sperimentazioni. Ogni essere vivente merita rispetto e considerazione.

Il rinvio alla «comunità scientifica» è una mossa che dimostra un'imperfetta comprensione del problema (vedi la sezione precedente). Più precisamente Ingroia poteva dire: la sperimentazione sugli animali è una metodica crudele e di provata e pericolosa inefficienza; bisogna abolirla, a vantaggio di umani e non-umani. È vero che il partito di Ingroia, Rivoluzione Civile, ha inglobato una parte dell'Italia dei Valori, in cui una posizione molto chiara contro la vivisezione era stata presa, in sede di parlamento europeo, da Sonia Alfano (vedi ad esempio qui). Quindi, quale che sia il giudizio complessivo che si voglia dare dell'entrata in scena del partito di Ingroia nella competizione per i voti dell'elettorato di sinistra, penso che gli si possa attribuire una scelta di campo almeno tendenzialmente antivivisezionista, a differenza del PD.

La risposta di Oscar Giannino

Oggi i successi della ricerca medico-scientifica rappresentano la ragione singolarmente più importante per l'allungamento dell'aspettativa e della qualità di vita. È dunque necessario creare condizioni che siano favorevoli all'avanzamento della scienza. La sperimentazione su animali è una parte fondamentale di questo processo. Essa non deve essere proibita, ma attentamente regolata. E chiedersi: esistono modi alternativi per ottenere la data informazione scientifica? E' quella ricerca necessaria? Quali sono i benefici? Porterà a un reale aumento della conoscenza? Come minimizzare il numero di animali necessari? E infine: il trattamento degli animali seguirà le regole internazionalmente valide per il trattamento "umano" dei medesimi?

Crediamo, quindi, che una buona regolamentazione e lo studio di nuovi strumenti biomedici sia il miglior modo per sostenere la ricerca medico-scientifica e, al tempo stesso, porsi come obiettivo la riduzione del numero di animali utilizzati in tali pratiche: obiettivi per i quali il semplice bando non può avere alcuna utilità.

Giannino comincia proprio male, dicendo che «i successi della ricerca medico-scientifica rappresentano la ragione singolarmente più importante per l'allungamento dell'aspettativa e della qualità di vita»: in realtà questa è una tesi enormemente controversa, ed è stata di fatto in larga misura confutata con dovizia di dati e riferimenti: rimando, per una sintesi fino al 1977, all'articolo di J.B. e S. M. Mc Kinlay, “The Questionable Contribution of Medical Measures to the Decline of Mortality in the United States in the Twentieth Century”, Health and Society, vol. 55 (1977), pp.405-28 (vedi qui), e più recentemente e ampiamente, al libro di G. E. Markle e F. B. McCrea, What if medicine disappeared?, Albany, State University of New York Press, 2008.

Quanto alla sequenza di giustissimi interrogativi, mi limito a rispondere a mia volta con una domanda: ma che senso ha prendere posizione se non ci si è prima informati adeguatamente sullo stato del dibattito? Più dignitoso e utile sarebbe stato se Giannino si fosse limitato a dire: non posso rispondere, non ne so granché. Non è che uno sia obbligato sempre e comunque a rispondere, non c'è niente di male a dire: devo informarmi, al momento non lo so.



Conclusione

In un primo momento, nel sondaggio di Le Scienze era inserita anche la seguente “risposta del Movimento 5 Stelle”:







L’uso degli animali nella ricerca biomedica è ancora di fondamentale importanza. Questo campo deve essere fortemente normato e controllato, per evitare abusi, e minimizzare le sofferenze ed il disagio degli animali, salvaguardando gli scopi di salute pubblica.
*Le risposte sono state scritte con i contributi di [...] e i partecipanti ai gruppi tematici. Il dettaglio delle proposte programmatiche del M5S scaturisce da gruppi di studio liberi, a cui chiunque può partecipare.
Questa risposta aveva lasciato di stucco tutti quelli che avevano seguito il M5S fin dalla sua preistoria, ma il riferimento ai «gruppi di studio liberi, a cui chiunque può partecipare» aveva permesso da subito di ridimensionarne il significato. È venuta poi, il 10 febbraio, la recisa smentita di Beppe Grillo, e Le Scienze ha eliminato del tutto (non è chiaro perché) la voce riguardante il M5S. Riporto integralmente la breve nota di Grillo:
No alla vivisezione
Io sono contro la vivisezione perché crudele, inutile e dannosa. L'ho scritto sul blog molte volte in questi anni e ho supportato spesso iniziative del Comitato Scientifico Antivivisezionista Equivita a cui aderisce Fulco Pratesi. Leggo con stupore che “Le Scienze ha posto una serie di domande ai candidati alle Politiche 2013 tra cui anche una inerente l’uso degli animali nella ricerca. Ebbene la risposta ufficiale del Movimento 5 stelle è stata favorevole.” Nessuno è autorizzato a fornire risposte sul programma diverse da quello depositato al Viminale e mi sorprendo che qualcuno si sia arrogato il diritto di rispondere a nome del M5S.
La posizione sull'abominio della vivisezione è stata chiara sul blog sin dal 31 gennaio 2006 con il post "La vivisezione è inutile".
Ciò fa del M5S l'unica lista che sulla vivisezione abbia preso una posizione inequivocabilmente ed esplicitamente negativa – e per le giuste ragioni: perché la vivisezione è «crudele, inutile e dannosa». Il rapporto organico e programmatico di questa lista con i movimenti cittadini permette agli oppositori della vivisezione di individuare nel M5S un canale più affidabile di altri per farsi sentire in parlamento.
Mi auguro in particolare che nessun vero animalista o antivivisezionista si lasci fuorviare da chi si fa ritrarre in compagnia di animali per simulare di essere il contrario di quello che è – e che ha già ampiamente dimostrato di essere, con opere e omissioni (una lista troppo lunga per essere citata, ma almeno vorrei ricordare il disastro premeditato compiuto dagli ultimi due governi nell'intero comparto dell'istruzione pubblica e dei beni culturali). Del resto Grillo ha ragione a sottolineare la pessima qualità media, intellettuale e morale, dell'attuale classe dirigente (politici, industriali, banchieri, direttori di giornali e televisioni, sindacalisti), la quale meriterebbe di essere messa a riposo o, in diversi casi importanti, dietro le sbarre, indipendentemente da ogni considerazione più specificamente “animalista”. Il successo elettorale del M5S si può considerare come la migliore approssimazione a una rivoluzione nonviolenta che si possa realizzare nell'attuale momento storico in Italia. È una scommessa, certo, ma non così chiaramente perdente e autolesionista come sarebbe votare per altri partiti.





Inserito: 17 febbraio 2013

Fondazione Hans Ruesch per una Medicina senza Vivisezione

www.hansruesch.net